teatro

A Teatro i Piccoli Crimini Coniugali con Michele Placido e Anna Bonaiuto

“Piccoli Crimini Coniugali” di Éric-Emmanuel Schmitt. Adattamento e regia di Michele Placido  con Anna Bonaiuto e Michele Placido, Teatro del Giglio di Lucca Domenica 3 Marzo 2019.

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Una felice rappresentazione dell’intenso testo di Schmitt. Una messa in scena che ricalca con credibilità il difficile equilibrio che è spesso indispensabile cercare con tenacia all’interno di una relazione di coppia; equilibrio tra un istintivo senso di angoscia causato dal sentore di dipendenza dall’ “altro” e l’ irrinunciabile senso di ricchezza che deriva dal confronto con quello stesso “altro“.

Un bel gioco delle parti femminile/maschile, debolezza/forza. Parti che, intelligentemente, si ribaltano e danno un forte spessore alla pièce teatrale evitando gli abusati ed inutili clichè uomo/donna per farci invece entrare in una appagante, anche se non rassicurante, complessità del gioco delle coppie.

Assolutamente straordinari Anna Bonaiuto e Michele Placido che con una interessantissima gradualità ci hanno portato, letterarmente trascinandoci, all’interno della storia di Lisa e di Marco e fra i meandri delle due personalità. Emozionandoci ed anche commovendoci per essere riusciti a mostrare, lentamente e con forza, la debolezza quasi struggente sia di Lisa che di Marco, senza mai rinunciare – anche –  allo spirito di commedia tipico della vita vera.

Ci siamo amati, pubblico e attori, nel pomeriggio della domenica di rappresentazione al Teatro del Giglio di Lucca. E Michele Placido, acclamato insieme ad Anna Bonaiuto, ci ha sinceramente ringraziato, per la nostra “straordinaria” attenzione e partecipazione.

Grazie a voi Anna (Lisa) e Michele (Marco), per averci fatto vedere con occhi esterni, compassionevoli ed indulgenti,  la nostra vita.

Da non perdere.

Dafne Visconti

 

 

 

 

L’ arte di Arthur Miller, ovvero il Teatro

” [ … ] si può ben ammettere che l’arte e la rappresentazione teatrale costituiscano una ben definita manifestazione d’un profondo bisogno sociale, un bisogno che trascende una particolare forma di società o un particolare momento storico.” A.M

E’ il fascino ed il mistero del Teatro che ogni volta che siedo su una poltrona rossa mi pervade.

Nel giorno della memoria, il 27 gennaio, ho assistito alla rappresentazione teatrale “Vetri Rotti” del grande drammaturgo americano Arthur Miller per la regia di Armando Pugliese con Elena Sofia Ricci, GianMarco Tognazzi, Maurizio Donadoni senza dimenticare gli altri tre bravi attori: Elisabetta Arosio, Alessandro Cremona, Serena Amalia Mazzone.

Tutti insieme hanno contribuito a rendere merito alla interessante, profonda ed articolata sceneggiatura di Arthur  Miller.

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E’ già di grande interesse che la vicenda ambientata nel 1938  e che ha sullo sfondo i fatti che stanno accadendo nella Germania nazista ( La notte dei cristalli) si svolga a Brooklyn, ad un oceano di sostanza dai luoghi delle efferatezze. Questo consente allo spettatore di sperimentare uno sguardo lontano, esterno, extraeuropeo: esercizio utile per non relativizzare tutto ciò che sta accadendo nel mondo e per provare NOI, adesso, a non essere lontani da quei popoli, al di là del Mediterraneo …

La distanza non deve avere valore rispetto all’empatia fra umani, che siano marito e moglie o persone sconosciute ma accomunate da una qualche appartenenza. Ed infatti è proprio qui che sta il genio Miller: saper intrecciare la vicenda universale a quella familiare, giocare con le mancate identità dei personaggi ( in questo caso identità ebraica) per mostrare come la fragilità di un uomo – la sua incapacità di guardarsi allo specchio – abbia chiare conseguenze sulla vita della persona a lui più vicino, la moglie. Sperimentare il possibile potere dell’empatia e della partecipazione umana sulla propria vita, come si evince dalla trama:

“Brooklyn, novembre 1938. Sylvia Gellburg, ebrea, casalinga, viene improvvisamente colpita da un’inspiegabile paralisi agli arti inferiori. Il medico, Herry Hyman, suo coetaneo e conoscente, è convinto della natura psicosomatica del male e, al tempo stesso, è sentimentalmente attratto dalla donna, mentre il marito di Sylvia, Phillip, non riesce ad accettare quanto sta accadendo. Ben presto emerge che Sylvia è ossessionata dalle notizie delle persecuzioni contro gli ebrei in Germania. Sono gli echi della Kristallnacht, ma forse l’angoscia della protagonista per quegli avvenimenti si somma ad altre fonti di frustrazione ed inquietudine”

E’ difficile descrivere tutta la complessità psicologica che esce dalla messa in scena, a dimostrazione della vera e propria arte drammaturgia di Arthur Miller. E’ questo il teatro: una forma di espressione diversa dalla letteratura e diversa dal cinema che difficilmente trova parole quando tentiamo di descriverlo.

Il teatro è una parafrasi della vita, per questo lo capiamo solo vivendolo, ovvero andando a Teatro con la nostra persona!

“Nel teatro ciò che io apprezzo soprattutto è la poesia, ed insisto che di essa il teatro non può fare a meno” A.M.

Da non perdere. 

Dafne Visconti

Fantastico inaspettato teatro

E’ inaspettato, perchè è di giovedi ed il biglietto si acquista sul momento al costo di una proiezione cinematografica. Ma è teatro. Sarà che in questa città di provincia per quanto culturalmente significativa non accadono cose così, inaspettate appunto.

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Winter è una pièce teatrale scritta da John Fosse, considerato il massimo scrittore e drammaturgo norvegese vivente. Già questo è interessantissimo: l’incursione della Norvegia in una tranquilla città della mite Toscana. Il regista Oskar Korsunovas è conosciuto in tutto il mondo. Questi due grandi nomi spalancono le porte ad una intensa rappresentazione teatrale di grandissima qualità e di forte impatto emotivo in una normalissima serata di fine inverno, proponendosi senza clamori ed affidandosi all’intuito del potenziale spettatore che passa davanti alla locandina affissa lateralmente al Teatro, dato che lo spettacolo si svolgerà non nella sede teatrale principale, ma in quella secondaria. In realtà ci sentiamo dei privilegiati noi che siamo lì, in questo non grande teatro, con solo la platea ed il palco – e quindi gli attori – a ridosso delle nostre teste.

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I due attori – bravissimi -sono talenti italiani; la donna è lituana naturalizzata italiana, l’uomo è addirittura della stessa città di provincia che ospita lo spettacolo. E così, in un’ora di spettacolo, ogni provincialismo è bandito: Lituania, Norvegia, Italia, mostri viventi della drammaturgia e giovani attori premiati dai loro anni di studio.

Lo spettacolo è entusiasmante per come riesce ad entrare fra le pieghe dell’umano sentire per poi enucleare le recondite motivazioni del vissuto. E’ teatro puro, vivido, come carne viva. E’ teatro all’ennesima potenza: non solo le parole scandagliano gli avvenimenti interiori, le motivazioni estreme; a queste si aggiunge – esaltando potentemente il contenuto e l’espressività – la rappresentazione vera e proprio, ovvero la fisicità degli attori che si muovono nello spazio, fra la scenografia. Il corpo narra quanto e più delle parole. Il teatro è parola – corpo – spazio – fuori dall’ordinario. Al teatro la parola , il corpo e lo spazio possono essere utilizzati sfruttando la genialità dei registi e dei drammaturghi che riescono e possono osare oltre le convenzioni delle parole, del corpo e dello spazio stessi.

Solo così, grazie a questa arte della drammaturgia, il tema esistenziale viene scandagliato a profondità a cui non si potrebbe altrimenti arrivare. E ci tocca interiormente, in una normale serata di fine inverno, durante un’ora di spettacolo intensissimo.

Dafne

Winter

“uno stanco uomo d’affari incontra una donna nel parco di una città. Bella, scapigliata e strana, lei rappresenta un enigma al quale è difficile resistere. Lui la porta nella sua camera d’albergo e intreccia con la donna una relazione appassionante. Questa commedia esplora un incontro tanto ordinario quanto estremo”.

Testo teatrale John Fosse

Regia ed ideazione scenica Oskar Korsunovas

Attori : Ruta Papartyte e Marco Brinzi

BIRDMAN ci raggiunge

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Ti prende alla sprovvista. Ti porta avanti, indietro, dentro e fuori. In sostanza questo film ti trascina con sé. Nella profonda e arguta fantasia del regista, dentro la “sua” storia pensata, quella della sua testa viaggiante. Si capisce la portata della narrazione dal fatto che si stratta di un film difficile da raccontare; si può esprimere emozionalmente, ma il racconto della trama si esaurirebbe in poche parole, facendo perdere gran parte del suo significato.

Il film è reso attraente dall’ambientazione all’interno di un teatro, partecipiamo alle scene e alla vita del teatro, vivendone i retroscena, le sofferenze. Per lungo tempo il punto di vista dello spettatore oscilla fra il palco del teatro ed i suoi sotterranei. Quasi si tocca la polvere delle assi del proscenio ed il caldo delle luci di scena mentre gli attori eseguono le prove. Dopodichè si scende sotto, nei camerini, nella sartoria, fra i corridoi asfittici e trasudanti passioni e timori di uno spettacolo ancora da rappresentare e di cui non se ne possono prevedere le sorti.

La vita del protagonista E’ lo spettacolo che deve essere rappresentato. Non sappiamo cosa accadrà e cosa ne sarà di lui.  Nel frattempo, noi, lentamente, entriamo nella strana ed affascinante e perturbante personalità dell’attore principale. E soprattutto nei meandri psicologici di noi stessi o dei personaggi (non fa la differenza) suggeriti da ciò che sta per andare in scena: Di cosa parliamo quando parliamo di amore , un racconto di Raymond Carver che apre le pieghe dell’anima e della psiche e mette in mostra le profondità più recondite con parole limpide, taglienti ed efficaci. Parole che passando dalla narrazione scritta alla espressione teatrale acquistano ulteriore portata e drammaticità.

Ma poi, da questa più sanguigna e passionale realtà, noi spettatori veniamo trasportati – attraverso la quasi lucida follia del protagonista e la immaginifica espressività del regista – su una altro livello. Onirico? Fantastico? Assurdo? Paradossale? Non lo sappiamo, forse di tutto un po’. Fatto sta che ci piace e che si armonizza con tutto  il resto: è questa la REGIA in senso letterale, il concertare, l’articolare il proprio pensiero e poi riuscire a rappresentarlo con tutte le licenze poetiche del caso, da vero regista/artista.

Birdman ci raggiunge veramente, potentemente.

 

Dafne

“Non si sa come” Pirandello ancora ci parla

Un dramma in tre atti, pochi personaggi, parole cristalline che aprono uno squarcio sulla vita interrompendone la linearità.

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E’ un attimo e, “non si sa come”, la prospettiva cambia. Cambia così tanto che al termine del dramma anche lo spettatore comicia a pensare che il confine tra sogno e realtà sia davvero sottile, o per dirla in modo ancora più vicino al pensiero del drammaturgo che i nostri atti, quelli “irriflessivi” e perciò distanti dalla coscienza, agiscono sulla nostra vita come possono fare i sogni, sottilmente, subdolamente.

E’ un modo per giustificarsi o per entrare in veri dilemmi esistenziali?

La realtà (i nostri atti) sono, a volte, come i nostri sogni, cioè inevitabili, indipendenti dalla nostra volontà. E allora: cosa è la volontà? E la coscienza?

Queste le domande che Pirandello ci fa porre.

Esiste un io che poco conosciamo e poco dominiamo e che può manifestarsi improvvisamente, agire strisciante, o non palesarsi mai. Dipende dai casi della vita.

Questa opera mette in scena la labilità dell’essere in modo profondo e semplice come solo un genio può fare.

Nello specifico la trasposizione del regista Federico Tiezzi e dei bravi attori, come delle ottime scenografie ci hanno fatto vivere il vero teatro e sentire la sana lontananza dai siparietti luccicanti e vuoti della televisione e di tutto ciò che gira attorno ad essa o dalla pretenziosità di un certo cinema.

Il vero teatro è pazienza ed intima riflessione.

Dafne

“Moliere in bicicletta” , il misantropo convinto

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Regia: Philippe Le Guay

Attori principali: Fabrice Luchini, Lambert Wilson, Maya Sansa

Una interessantissima commistione fra teatro e cinema; le tematiche di Moliere sono trasferite in modo teatrale  attraverso un film – commedia il cui impianto se non geniale è quantomeno originale.

Bellissime le ambientazione che rappresentano metà della forza di questa pellicola.

La leggerezza delle situazioni tipiche della commedia francese (con accenni a Tati) diventa sottile tema esistenziale (Il Misantropo) grazie alla riuscita idea della vicenda, ai dialoghi arguti ed lla bravura dei due attori principali.

Serge è un ex-attore di teatro deluso dal suo ambiente e ritiratosi in una dimora decadente, alla francese; Gauthier un suo vecchio collega.

La solitudine cercata di Serge (allude al misantropo Alceste) che è fuggito dalla delusione provata relazionandosi agli uomini, viene per un momento rinnegata da Serge stesso dopo insistenze ed adulazioni dell’amico  Gauthier che lo vuole con lui, nella sua compagnia per recirtare Il misantropo di Moliere.

Ci crede Serge, ancora una volta, e noi con lui.

I due, amici – nemici, avranno modo di conoscersi e riconoscersi, di venire a contatto con le rispettive debolezze e contraddizioni.

Il film, magicamente, da piacevole e leggera commedia scarta improvvisamente verso un sorriso amaro, di delusione, di aspettative mancate, il cerchio si chiude : Serge torna di nuovo su se stesso, al punto di partenza, dove lo avevamo conosciuto, cioè nella sua cercata solitudine.

Illuso e poi disilluso.

Piacevole, bello, divertente, serio.

Dafne

“Io non scherzo un bel niente.

In queste circostanze non risparmio nessuno

Quel che vedo m’offende, e la città e la corte

Non m’offrono che esempi da infiammarmi la bile

Mi prende l’umor nero e un profondo dolore

Quando vedo la gente comportarsi in tal modo

Io riscontro dovunque solo vili lusinghe,

Ingiustizia, interesse, scaltrezza, tradimento

Non posso contenermi, mi adiro, e mi propongo

Di mandare all’inferno tutto il genere umano”

Trama del film: Serge ha abbandonato la carriera d’attore per ritirarsi in una casetta sull’Île de Ré, dove vive come un eremita. A interrompere il suo burbero isolamento arriva Gauthier, amico e collega sulla cresta dell’onda, che gli propone di recitare insieme a teatro Il misantropo di Molière. Serge è scettico, ma chiede a Gauthier di restare qualche giorno per provare entrambi la parte del protagonista, Alceste. L’amicizia ritrovata, la poesia di Molière e l’incontro inaspettato con una donna italiana, Francesca, sembrano restituire a Serge la gioia di vivere, ma i rapporti tra i tre si riveleranno meno facili del previsto…

La Scena di Cristina Comencini

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Intelligente e veloce la commedia di Cristina Comencini.

Attraverso l’equivoco ed il senso dell’assurdo ha messo in scena le fragilità e le contraddizioni della vita degli uomini e delle donne. In modo arguto ed acuto, strappando al pubblico risate ed applausi, nonchè silenziosi momenti di riflessione.

Non solo: il complicato modo di relazionarsi dei due sessi, fra pregiudizi e falsi miti, è ben sviscerato, e rovesciato.

Difficile da spiegare, da raccontare nel dettaglio, a dimostrazione dell’originalità e della profonda (seppur non pesante) messa in scena di idee e sentimenti.

La fine dello spettacolo è stata una festa: applausi scroscianti, attori e regista grati al pubblico e sinceramente felici del successo della loro prima nazionale.

Da vedere.

Dafne

(con Angela Finocchiaro, Maria Amelia Monti e Stefano Annoni)

MaggioDanza – I quattro temperamenti e Notte trasfigurata

Il MaggioDanza ha recentemente messo in scena le coreografie di due mostri sacri della danza del Novecento. Si tratta del coreografo di origine russa George Balanchine (San Pietroburgo 1904 – New York 1983) e della coreografa tedesca Susanne Linke (Berlino 1944).

E’ un dato di fatto che gli eventi che riguardano la danza non creino mai l’aspettativa nè suscitino il clamore tipico di altri settori delle arti. Deve trattarsi di un vizio culturale, frutto di una educazione non completa, dato che la danza può davvero toccare le innate corde artistiche di ciascuno essendo un diretto linguaggio del corpo. Corpo, musica e spazio. Niente di più immediato e comprensibile.

I due pezzi proposti – I quattro temperamenti e Notte trasfigurata – della durata di poco più di mezz’ora ciascuno, sono stati così ricchi ed appaganti da far pensare di aver trascorso al teatro una giornata intera. Interessante anche il fatto che le due coreografie si differenzino l’una dall’altra sia per lo stile espressivo che per la forza ispiratrice.

I quattro temperamenti di George Balanchine

Malinconico, sanguigno, flemmatico, collerico: ecco i quattro temperamenti umani definiti dalla scienza medica medievale ed in cui possiamo specchiarci di volta in volta.
Il balletto messo in scena è una rappresentazione coreografica di queste 4 categorie. E’ totalmente messa in atto la creatività artistica del coreografo, che attraverso lo studio della capacità espressiva del corpo riesce a trasmettere allo spettatore il significato più interiore dei quattro tipi caratteriali.

Ci immedesimiamo. Veniamo condotti verso uno spazio astratto di cui certamente non facciamo esperienza nella vita quotidiana, si verifica una sorta di rapimento delle nostre menti. Si tratta di una breve incursione nei mondi inesplorati della possibile espressività umana. Non possiamo che rimanerne ammaliati perché partecipiamo ad un crearsi di impressioni ed emozioni grazie ai movimenti di corpi di uomini e donne in carne ed ossa, esattamente come lo siamo noi. Sentiamo tutto il valore aggiunto della danza, che e’ la fisicita’.

Non si può negare l’efficacia di questa forma espressiva: comprendiamo appieno, intimamente e direttamente i diversi temperamenti, più delle tante parole che servirebbero a spiegarli, anzi si tratta di un linguaggio che opera su di noi ad un altro livello e che va oltre al contenuto.

E’ un evento mettere in scena “I quattro temperamenti”, se e’ stata considerata la più importante coreografia del Novecento ed è stata rappresentata per la prima volta a New York nel 1946. Si tratta di una pietra miliare nella storia del balletto che fu così traghettato dalla neoclassicismo alla modernità.

Fu una vera e propria ricerca quella di Balanchine, la ricerca dell’essenza della danza che lo portò a concepire un modo di danzare nuovo sia negli aspetti tecnici che in quelli espressivi. La danza di Balanchine e’ puro movimento e corporeità, non lascia spazio all’espressività propria del
danzatore, alla mimica facciale o all’enfasi. I movimenti sembrano fluire indipendemente dalla volontà, la forza evocativa è notevole. Questo è possibile anche in virtù delle innovazioni tecniche operate da Balanchine che rivede e modifica le regole canoniche della danza pur non abbandonandole.

E’ uno stile  cristallino, puro, non inquinato da sovrastrutture personali o culturali. Una vera innovazione della forma espressiva. Lo si capisce anche dalla scelta dei costumi ridotti a body neri per le danzatrici e a t-shirt bianche e calzamaglie nere per i danzatori. Così dai corpi può emanare tutta la poetica.

Notte trasfigurta di Susanne Linke

Sono le parole della coreografa che ci fanno comprendere la sua ispirazione: “Wo die Loìiebe hinfallt. Questo è un proverbio tedesco. Significa: che scherzi fa l’amore. Ispirandomi al significato di questa espressione, ho provato ad immaginare coppie in cui l’amore segue un suo corso, che noi non vogliamo o non abbiamo immaginato. Può accadere a tutti noi! Dall’altro lato…noi non smettiamo di sognare un amore eternamente felice”

Il lavoro di Susanne Linke si svolge tutto sull’espressività dei danzatori, che attraverso il corpo devono restituire un’esperienza precedentemente interiorizzata. L’indagine della coreografa avviene a livello intimo ed emozionale e non solo sul piano esteriore, estetico, del movimento. Ritiene infatti che la possibilità di espressione corporea sia la strada per raggiungere la conoscenza del proprio essere, come se attraverso la danza il corpo si potesse liberare dal dominio della mente. Potrebbe trattarsi quasi di una teoria filosofica. Si può parlare di danza espressionista: l’interiorità esce prepotentemente, con enfasi, carica di turbamento, e si incoraggia la ricerca espressiva individuale del danzatore.

Nella Notte trasfigurata il tema è l’amore come motore di ricerca individuale della propria spiritualità, nelle sue sfumature e nella sua universalità: in una notte illuminata dal plenilunio una coppia di amanti si rivede dopo che la donna ha confessato di attendere un figlio da un altro uomo. Vengono così messe in scena le forze che dirompono quando le passioni superano la logica dei possibili accadimenti, e le istintive disperazioni e lacerazioni umane si fanno strada da sole, senza intermediari. Susanne Linke ama trarre ispirazioni dalla vita, sentendo sempre un collegamento tra la danza e la vita:

“E’ compito dell’artista astrarre dalla propria esperienza personale e dal proprio modo di leggere l’esistenza qualcosa che sia universale”

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I due balletti mostrano due diverse modalità di concepire l’arte della danza, concezioni diverse che attraggono in ugual misura, magneticamente, verso astrazioni espressive irrinunciabili (come la poesia) per non soccombere alla sola concreta realtà.

Dafne

“Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello regia di Giulio Bosetti

Finzione e realtà, uomini e personaggi, fantasia, illusione del momento vissuto, vite vere e vite verosimili, parole ed incomunicabilità. Tante sono le sottili questioni che pone Pirandello all’uomo d’arte e all’uomo in genere con questa commedia che ancora, dopo quasi cento anni, avvertiamo come nuova ed originale.

La messa in scena di Giulio Bosetti è di grande soddisfazione per l’assoluta rispondenza al testo fin nei minimi dettagli. Non è cosa da poco in periodi come questi, quando ciò che non è contemporaneo, o in qualche modo attualizzato, viene spesso considerato anticaglia. Prova di coraggio e di aver creduto fino in fondo all’attualità del testo. Gli attori sono bravissimi a esplicitare sapientemente tutte le sfumature caratteriali dei personaggi.

 

Certo la trama del dramma non ci scandalizza o stupisce come può essere accaduto il 10 maggio 1921, giorno della prima rappresentazione al Teatro Valle di Roma. Ma la singolarità dell’idea, e la sottile commistione fra tragedia e commedia è tuttora affascinante a conferma di una genialità che non risente dei tempi.

Pirandello, nella prefazione al testo, ci spiega la sua visione dell’atto creativo, e la sua personalissima esperienza creativa di quando gli si sono presentati alla mente i 6 personaggi a cui, suo malgrado, ha dato vita propria, realizzando come da sue parole “..questo novissimo caso d’un autore che si rifiuta di far vivere alcuni suoi personaggi, nati vivi nella sua fantasia, che non si rassegnano a restare esclusi dal mondo dell’arte, […] avvenendo così un misto di tragico e comico, di fantastico e di realistico, in una situazione affatto nuova e quanto mai complessa..”

Questa commedia di Pirandello è più che la rappresentazione di un fatto, ci svela infatti i processi della creazione, come se ne potessimo vedere in qualche modo gli ingranaggi, rivelando alcuni segreti dell’arte del teatro e suggerendone la contaminazione con la realtà vissuta; percepiamo la commistione tra arte e vita, ispirazione e concretezza.

Il mistero della creazione artistica è il mistero stesso della nascita naturale. […] Così un artista, vivendo, accoglie in sè tanti germi della vita, e non può mai dire come e perchè , a un certo momento, uno di questi germi vitali gli si inserisca nella fantasia per divenire anch’esso una creatura viva in un piano di vita superiore alla volubile esistenza quotidiana.”

 

Dafne

regia Giulio Bosetti
movimenti mimici Marise Flach
costumi Carla Ricotti
musiche Giancarlo Chiaramello

I personaggi della commedia da fare
Il Padre Antonio Salines
La Madre Paola Rinaldi
La Figliastra Silvia Ferretti
Il Figlio Michele Di Giacomo
Madama Pace Marina Bonfigli

 

Gli attori della compagnia
Il Direttore-Capocomico Edoardo Siravo
La Prima Attrice Cristina Sarti
Il Primo Attore Elio Aldrighetti
La Seconda Donna Anna Canzi
L’Attrice Giovane Caterina Bajetta
Un’Altra Attrice Alessandra Salamida
L’Attor Giovane Daniele Crasti
L’Attore-Segretario Vladimir Todisco Grande
Il Suggeritore Vladimir Todisco Grande
Il Direttore di scena Mario Andri
Il Macchinista Gregorio Pompei

 

” I Masnadieri” Schiller – regia di Gabriele Lavia

Un trattato filosofico messo in scena, di straordinaria efficacia. Tramite le parole dei personaggi si parla di Natura, Destino, Legge, Amore e delle forze opposte che agiscono nell’uomo. Ciascuno dei personaggi della tragedia ci fa porre domande su uno dei grandi temi.

I personaggi sono  Karl e Franz, fratelli; il loro padre Maximilian Conte di Moor; Amalia, la donna amata da entrambe i fratelli.

Il promogenito Karl, prediletto dal padre, ha velleità di rivoluzionario, è intenzionato a cambiare il mondo, non crede nella Legge e per questo si allontana dalla famiglia, salvo, successivamente, chiedere perdono e voler tornare dal padre e dalla sua amata Amalia.

Il fratello Franz, si sente ingiustamente colpito dalla Natura inquanto secondogenito e, oltre che essere esteticamente poco accettabile, sa che suo fratello è preferito dal padre. Inoltre è segretamente innamorato di Amalia, la donna del fratello.

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Il padre, inconsapevolmente, in effetti ha una specifica affinità con Karl, preferendolo a Franz.

Questo è il nodo centrale, ma raccontare la trama non è comunque sufficiente a spiegare la complessità della situazione, e le sfumature che caratterizzano i pensieri dei protagonisti, in particolare Karl con il suo problematicissimo itinerario che mette in evidenzia tante fragilità umane.

Ecco alcune parole di Franz : “Non sono la carne o il sangue, è il cuore che ci rende padri e figli…” e ancora “Ho ottime ragioni per essere in collera con la natura e le farò valere..Perchè non sono strisciato per primo fuori dal ventre di mia madre? Perchè non sono stato il solo? Perchè mi ha imposto il fardello di questa ripugnante bruttezza?…” “Voglio distruggere tutto ciò che mi impedisce di essere il padrone. E devo diventare il padrone per ottenere con la forza ciò per cui l’amabilità mi manca”.

Ecco, dalle sue parole si capisce bene che Franz vuole agire modificando ciò che la Natura ha deciso per la sua esistenza. Il gesto è quello di far credere al padre che il prediletto Karl ha disonorato  il nome di famiglia facendo in modo di farlo ripudiare. Questo, proprio quando Karl sta decidendo di tornare a casa, dopo aver sperimentato l’inutilità delle azioni di forza. Queste le parole di Karl: “All’ombra del mio bosco paterno, tra le braccia della mia Amalia mi attrae un piacere più nobile..”

Il gesto inconsulto di Franz farà precipitare tutti verso una immane tragedia, come a dire che il sovvertire le regole di Natura non può che portare catastrofe e quando l’intelletto si affina lo fa a spese del cuore.

La giovane compagnia diretta da Gabriele Lavia ha dimostrato di recitare con una grande forza emotiva, capace di coinvolgere il pubblico, incantandoci nei riuscitissimi monologhi. Molto interessante la recitazione degli attori che impersonano i due fratelli, assai convincente e coinvolgente anche per l’attenzione posta alla specifica postura e modo di muoversi di questi due protagonisti amplificandone così la forza epressiva, e rendendoli personaggi a tutto tondo.

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Il fatto che la tragedia di Schiller sia stata ambientata da Lavia negli anni ’80, dimostra la certa attualità delle tematiche, dimostrandone l’universalità, e la necessità di interrogarci ancora oggi su questioni morali che dovremmo sentire insite nella natura dell’uomo e quindi presenti in ogni tempo.

Una messa in scena di questo tipo è assai più dirompente nell’immaginario di giovani e adulti, di pagine e pagine di dissertazioni su questi temi. Da mettere assolutamete in evidenza la povertà della scenografia: una poltrona, un lungo tavolo, il candeliere, la vestaglia rossa, qualche chitarra; tutto questo non fa che aumentare la suggestione e parlarci di vero teatro.