
“L’attuale fioritura di un’arte e di un pensiero anziani pare legata al tema contemporaneo dell’assenza dei padri, che ci porta a dare massima fiducia ai nonni“.
Questo è uno stralcio dell’intervento di Stefano Bartezzaghi “Il pensiero anziano” sulla sezione Cultura di Repubblica del 3 giugno 2012. E’ proprio il senso di fiducia incondizionata nei confronti di quei grandi vecchi e delle cose di cui parlano, che ci consente di abbandonarci alla riflessione che uno di loro, Zygmunt Bauman, suggerisce. Una interessante e difficile riflessione sulla questione della mortalità, della cultura e dell’arte.
Prima però trovo che sia importante soffermarci su quel senso di fiducia che ci fa provare un rispetto immediato verso le parole di loro, gli ultraottantenni di cultura. Cosa troviamo nel loro pensiero che ci convince ad ascoltarli? Credo che li percepiamo come personalità sfuggite alle imposizioni economiche e sociali da cui sia noi che i nostri “padri” siamo, bene o male, condizionati. Li sentiamo gli ultimi uomini mentalmente liberi il cui pensiero è in grado di svelarci parte della vera natura dell’uomo, prima che venisse corrotto dai subduli condizionamenti di tutto ciò che ruota attorno allo strisciante materialismo in cui viviamo, tenuto in vita dal potere del denaro.
Ecco quindi spiegato, a sommi capi, da dove nasce il grande senso di rilassatezza che le parole del famoso sociologo polacco ci procura, pur trattando temi scottanti, come la morte, la finitezza dell’uomo: abbiamo fiducia, nella sua saggezza e nella sua libertà.
Trovo molto interessanti alcuni termini che Bauman utilizza quando vuole spiegarci l’intreccio teorico che scorge fra cultura (arte) e mortalità. Ecco cosa ci dice:
“A causa della presenza costante dell’idea della morte nella nostra vita, impariamo a riflettere sul suo significato: Schopenauer ci ha insegnato che senza morte non ci sarebbe la filosofia. Io dico che non ci sarebbe neanche la cultura, quella trasgressione tipicamente umana alla natura, ovvero il sedimento del tentativo senza sosta di rendere la vita vivibile nonostante la consapevolezza della mortalità”
Fra le tante parole che possono descrivere l’arte e la cultura, quelle di Bauman “trasgressione umana alla natura” suggeriscono la necessità del senso di ribellione che l’uomo, se vitale, libero ed autonomo deve possedere; ciò fa pensare che sia l’intellettuale che l’artista possiedano questa precisa caratteristica che, attraverso i pensieri e le opere, deve in qualche modo contaminare ed incidere sul pensiero degli altri uomini, suoi contemporanei o meno.
La trasgressione come forma mentale, continua ricerca di posizioni nuove nel mondo, la trasgressione come non accettazione di una condizione, una sorta di inconsapevole ribellione alla natura che consente ad alcuni di attivare circuiti interiori che portano ad espressività le quali, formandosi lentamente e dal profondo delle emozioni devono poi, incontenibili, in qualche modo fuoriuscire attraverso pensieri strutturati od opere visive, fruibili all’esterno.
L’altro termine che mi colpisce è sedimento. Sembra preso a prestito da un altro comparto delle attività dell’uomo, un comparto non teorico ma pratico, effettivo, materiale, affatto astratto. Inoltre è come se la cultura, così descritta, ovvero come sedimento, fosse un effetto secondario di attività umane svolte senza preciso scopo. E credo infatti che il fascino ed il segreto della cultura e dell’arte stia tutto lì. La non finalità, il non sapere dove l’attività della mente ti può portare, la pura speculazione, il fare ed il pensare per la sola insopprimibile necessità di farlo tipica dei veri intellettuali e dei veri artisti. In netto contrasto, ancora, con lo stile della nostra società. Ed ecco quindi, di nuovo espresso, il concetto di trasgressione. La parola sedimento suggerisce anche un altro significativo concetto, quello di stratificazione, di lenta apposizione, di continuo accumulo, come continua ed indefessa è l’attività di che vive in questo tipo di trasgressione alla natura, non cedendo nè alla finitezza dettata dalla natura stessa nè alle finalità dettate dalle storture della società.
Dafne
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