arte moderna

Innamorarsi 52 volte – Il Museo del Mondo

52 capolavori per 52 storie – Il museo del Mondo di Melania Mazzucco Einaudi Editore

Il Museo del mondo Einaudi Editore

Il Museo del mondo Einaudi Editore

Si tratta di 52 capolavori dell’arte nei secoli prodotti dall’antichità ai giorni nostri. 52 capolavori raccontati ciascuno in due tre pagine al massimo; ciascuno di questi racconti dischiude  a pensieri e suggestioni come se di pagine ne leggessimo a decine. Questa è la forza e la capacità di racconto di Melania Mazzuco. Ogni sua parola o breve descrizione allude ad altro, apre finestre dell’immaginazione, porta a richiami e collegamenti, acuisce la curiosità, spingendoci oltre quelle parole, accendendo l’attrazione verso l’oggetto  del racconto. Ci trascina impetuosamente grazie al talento di romanziera nell’epoca del quadro, ci fa intravedere ed intuire vividamente la personalità dell’autore, la specifica anima artistica di ciascuno di essi.

Non possiamo rimanere indifferenti, anzi, ci innamoriamo ogni volta, per 52 volte.

Ogni opera ha sempre una sua specifica storia, una sua genesi e sviluppo, un suo carattere e personalità, come accade per le persone e come immaginiamo per l’autore di ciascuna opera. Tale complessità di contenuti è raccontata con semplicità e passione, vera conoscenza, grande competenza ed emozione. Un approccio non didascalico ma che non omette informazioni significative. Un interessantissimo ingresso nel mondo dell’arte e degli artisti di tutti i tempi che nell’insieme  riesce a farci comprendere la grande unitarietà dell’arte, l’imprescindibile filo conduttore che attraversa i tempi, le epoche, gli stili, tanto che le opere non sono presentate né per ordine cronologico, né tematiche stilistiche, ma quasi per improvvisi ricordi, come se l’autrice procedesse per analogie e associazioni di idee del tutto personali.

E’ il Museo immaginario di Melania Mazzucco.

Melania Mazzucco

Melania Mazzucco

Rapiti come se ci raccontassero una favola, come se ci svelassero segreti, ogni volta ho avvertito la grande complessità che sta dietro a qualsiasi opera d’arte che abbia resistito al tempo, dandomi la possibilità di spiegare od appena intuire il motivo di una rapimento estetico, l’inspiegabile forza attrattiva di certe opere, sensazione che altrimenti può provocare un certo senso di smarrimento se vissuta senza appigli e punti di riferimento. Ecco, questo volume offre la possibilità di trovare quel sostegno, quell’attacco, quella risorsa in più per tradurre le proprie emozioni di fronte al mistero della fascinazione da opera d’arte.

Inoltre il libro stampato da Einaudi è un bellissimo prodotto editoriale, come se ne vedono raramente. La carta è di prestigio, la resa dell’immagine delle opere è ottima, le dimensioni del volume non sono invadenti, poco più di un qualsiasi romanzo. E Melania Mazzucco conferma le sue doti di vera scrittrice.

 

Dafne

 

Sergio Scatizzi (1918-2009), un pretesto per una riflessione

Sergio Scatizzi, pittore toscano, è morto nel 2009. Dicevano di lui:

“Scatizzi è amico di poeti e letterati da sempre. Forse è un modo di essere. Piace ai poeti, forse perchè totalmente pittore”

Mi piacciono di lui le nature morte, dipinge tante nature morte, soprattutto fiori e frutta. Credo che sia qui che si manifesti parte del suo modo di essere.  L’impressione che a me deriva da questi soggetti è di grande comunicatività, varietà di contenuti e stati d’animo.  Sento degli eccessi attraversare questi dipinti, degli eccessi di passione.  Maggiormente in quei dipinti  che sono ricolmi di materia, di tempera ad olio che fuoriesce dal piano della tela,  veri e propri grumi di colore, e ancora di più: onde di materiale modellato dal pollice del pittore o dalla sua larga spatola.

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Scatizzi  riesce a manifestare il proprio tormento – che è  ricerca della strada per una  possibile manifestazione della propria espressività-  toccando, plasmando, modificando la materia, stravolgendo, fino a decomporla, l’innocente composizione di fiori che presa dalla realtà  diventa  strumento e pretesto espressivo, attraverso il quale  può specchiarsi totalmente l’animo dell’artista.

La natura morta non contamina l’intenzione pura dell’artista come può accadere in un ritratto; è vero che da tale contaminazione può scaturire una forma espressiva potenziata, arricchita, una descrizione della realtà che diventata  abbraccio, intreccio, fra chi posa e chi ritrae, ricerca da parte dell’artista dell’essenza umana dell’altro, ma non lascia solo a se stesso lo sguardo e l’animo di chi compie l’opera.   Nello stesso modo la potenza del paesaggio, la sua mutevolezza istante dopo istante, agisce sul pittore creando di nuovo un reciproco movimento, uno scambio continuo e biunivico che di  nuovo non consente vera solitudine. Invece gli immobili mazzi di fiori e le ceste di frutta dimenticate, vivono unicamente dello sguardo di chi li vuole interiorizzare, modificare, lavorandoci con  mente-animo-mani come un tuttuno, trasfigurandoli apertamente  fino a farli diventare rappresentazione del proprio sè emotivo ed artistico, e lo spettatore è adesso nella condizione di guardare, attraverso soggetti “neutri”, la profondità dell’artista.

Nel caso di Scatizzi, le sue nature morte mi suscitano emozioni variegate, contrastanti, non leggere. A volte la levità dei colori contrasta con la densità della materia, altre volte la materia è così tanta e così plasmata in tante diverse direzioni da lasciar solo intuire la presenza di gruppi di fiori, come se il pittore volesse in qulche modo dissacrare la loro immagine di primaverile dolcezza. Si sente una rabbia, o forse solo una forte, potente volontà.
Concludo con le parole delle stesso pittore:

“Un cammino, il mio, pieno di furori intellettuali e di arrovellamenti formali, tutte cose che hanno segnato nel bene e nel male gran parte della mia generazione: col sentimento delle cose e della realtà, privo di ideologismo, mi sono avventurato quant’anni fa, ingenuo sino alla nudità, nel difficile cammino dell’arte, fidando del solo impegno possibile, che ho sempre consideratoil solo valido, quello del proprio trasporto sentimentale”

Dafne