
Pierre Bonnard – Table set in a garden, 1908
E’ stata la lettura del volume dedicato a Pierre Bonnard in occasione della mostra Bonnard Photographe al Museo d’Orsay nel 1987, a farmi porre attenzione ed interesse ad un tema di confine come quello del legame fra pittura e fotografia; un tema di cui poco ho avuto occasione di sentire parlare ma che trovo molto stimolante.
A un anno di distanza la mostra fu a Firenze, a Palazzo Rucellai.
Dalla prefazione di Antoine Terrasse trovo subito delle parole che suscitano ragionamenti nuovi:
I costruttori delle cattedrali, gli architetti, gli ingegneri, coloro che hanno tracciato le strade ferrate, nessuno di loro ha mai pensato a queste immagini che si svelano inaspettatamente allo sguardo di uno spettatore. Queste immagini sono conseguenze […] la fotografia è un’arte nella misura in cui colui che la professa trasmette una nuova emozione alla nostra visione e alla nostra mente .
Credo che per Bonnard la fotografia sia stato un modo per comprendere meglio il possibile raggio di azione della sua pittura, leggendo ho immaginato la sua curiosità nel cimentarsi col mezzo fotografico per comprenderne i confini e apprezzare le differenze con la sua pittura, così come il bisogno di sperimentare personalmente come la fotografia
capta i volti a partire dai volti, gli oggetti a partire dagli oggetti; fissandosi sulla pellicola, la luce rivela la vita a partire dalla vita. Il suo artificio si alimenta della realtà.
La fotografia, in fondo è sempre, per sua natura, pura realtà ed il fascino può derivare dalla sua trasfigurazione in modo che da semplice resoconto possa diventare suggestione se non emozione, e questo può accadere ad opera di uno sguardo dotato di visione, come certamente quello di un pittore.
Anche la fotografia è una superficie piana, come la pittura, possiede quello stesso distacco rispetto alla realtà. Ambedue si alimentano di una vita propria, e possiedono, ciascuna, la propria magia.
Bonnard usava la fotografia come esercizio, al pari del disegno e non ha mai parlato molto delle sue fotografie, a dimostrazione del fatto che si trattava di una sua esigenza di studio, di esercizio, come fosse una delle componenti del suo lavoro. Sono di Bonnard queste parole
la pittura, rispetto alla fotografia, ha il vantaggio di essere fatta a mano
come dire che è un tramite diretto fra l’artista e la rappresentazione della sua visione, completamente definibile e gestibile dall’autore, mentre la fotografia presuppone una non azione fisica, un gesto materiale limitato che invece nella pittura si manifesta in tutta la sua fisicità di esecuzione.
Dalle foto di B., è chiaro il desiderio di sperimentare fotograficamente le sue visioni pittoriche, utilizzare la pittura per capire e meglio conoscere il suo sguardo, affascinato soprattutto dalla possibilità dell’istantanea. Quello che ho percepito leggendo questo volume è un vivo, urgente desiderio del pittore di non dare per scontato la sua arte, ma di volerla spiegare ed approfondire a se stesso, nei suoi meccanismi interiori. Riesce in questo attraverso l’utilizzo della macchina fotografica, che poi lascia in secondo piano, probabilmente per il personale bisogno di toccare con mano la materia. Le sue fotografie tradivano lo sguardo d’artista, rimandando atmosfere sospese e morbide come le sue tele.
Come si dice nell’introduzione al volume fotografico
Se B. lo avesse voluto, sarebbe diventato un grande fotografo ed alcune sue foto lo dimostrano chiaramente, come quella (sulla copertina del libro) scattata nel 1899-1900 che raffigura la moglie Marthe mentre si toglie la camicia vicino ad un albero: con la grazia e la misteriosità tipiche dell’artista, con la strordinaria forza plastica della composizione, questa immagine rivela un sapiente uso del linguaggio fotografico nel trattamento della luce e nel contrasto tra le diverse materie, la carne, la stoffa e la scorza dell’albero, rese con tutta la ricchezza e la freschezza della loro natura intrinseca.

L’arte è fitta di misteri che si intrecciano.
Dafne
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