arte contemporanea

La Tela Violata – Arte

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La Tela Violata è la mostra corrente al Lu.C.C.A (Lucca Center of Contemporary Art).

Fontana, Castellani, Burri, Scheggi, Simeti, Amadio e l’indagine fisica della terza dimensione.

Una visita che espone la nostra mente all’astratto, allenandola alla terza dimensione e ad un immaginario non figurativo.

Alla fine dei conti un vero e proprio relax per i nostri occhi ed il nostro pensiero ormai sopraffatto da immagini su immagini del reale che ci circonda. Un vero ingresso altrove attraverso una modalità che, nel quotidiano, ci è inconsueto.

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Una palestra filosofica che ci mette a contatto con elementi del nostro pensiero poco utilizzati, ma una volta messi in azione ci rendono più flessibili. Una flessibilità che sviluppa ed acuisce lo spirito critico e di osservazione.

 

Tutto questo nella bellissima città di Lucca.

 

 La Tela Violata dal 19 marzo al 19 giugno 2016 Lu.C.C.A. – Lucca Center of Contemporary Art – Via della Fratta, 36 55100 Lucca

 

Dafne

Innamorarsi 52 volte – Il Museo del Mondo

52 capolavori per 52 storie – Il museo del Mondo di Melania Mazzucco Einaudi Editore

Il Museo del mondo Einaudi Editore

Il Museo del mondo Einaudi Editore

Si tratta di 52 capolavori dell’arte nei secoli prodotti dall’antichità ai giorni nostri. 52 capolavori raccontati ciascuno in due tre pagine al massimo; ciascuno di questi racconti dischiude  a pensieri e suggestioni come se di pagine ne leggessimo a decine. Questa è la forza e la capacità di racconto di Melania Mazzuco. Ogni sua parola o breve descrizione allude ad altro, apre finestre dell’immaginazione, porta a richiami e collegamenti, acuisce la curiosità, spingendoci oltre quelle parole, accendendo l’attrazione verso l’oggetto  del racconto. Ci trascina impetuosamente grazie al talento di romanziera nell’epoca del quadro, ci fa intravedere ed intuire vividamente la personalità dell’autore, la specifica anima artistica di ciascuno di essi.

Non possiamo rimanere indifferenti, anzi, ci innamoriamo ogni volta, per 52 volte.

Ogni opera ha sempre una sua specifica storia, una sua genesi e sviluppo, un suo carattere e personalità, come accade per le persone e come immaginiamo per l’autore di ciascuna opera. Tale complessità di contenuti è raccontata con semplicità e passione, vera conoscenza, grande competenza ed emozione. Un approccio non didascalico ma che non omette informazioni significative. Un interessantissimo ingresso nel mondo dell’arte e degli artisti di tutti i tempi che nell’insieme  riesce a farci comprendere la grande unitarietà dell’arte, l’imprescindibile filo conduttore che attraversa i tempi, le epoche, gli stili, tanto che le opere non sono presentate né per ordine cronologico, né tematiche stilistiche, ma quasi per improvvisi ricordi, come se l’autrice procedesse per analogie e associazioni di idee del tutto personali.

E’ il Museo immaginario di Melania Mazzucco.

Melania Mazzucco

Melania Mazzucco

Rapiti come se ci raccontassero una favola, come se ci svelassero segreti, ogni volta ho avvertito la grande complessità che sta dietro a qualsiasi opera d’arte che abbia resistito al tempo, dandomi la possibilità di spiegare od appena intuire il motivo di una rapimento estetico, l’inspiegabile forza attrattiva di certe opere, sensazione che altrimenti può provocare un certo senso di smarrimento se vissuta senza appigli e punti di riferimento. Ecco, questo volume offre la possibilità di trovare quel sostegno, quell’attacco, quella risorsa in più per tradurre le proprie emozioni di fronte al mistero della fascinazione da opera d’arte.

Inoltre il libro stampato da Einaudi è un bellissimo prodotto editoriale, come se ne vedono raramente. La carta è di prestigio, la resa dell’immagine delle opere è ottima, le dimensioni del volume non sono invadenti, poco più di un qualsiasi romanzo. E Melania Mazzucco conferma le sue doti di vera scrittrice.

 

Dafne

 

Estemporanea d’arte in città

Fa sempre un certo effetto vedere gli artisti mentre lavorano, osservare l’opera che lentamente si definisce.

Ognuno, poi, ha il suo metodo: chi traccia prima degli schizzi a lapis, chi no; chi quando inizia deve finire e chi invece si prende pause; chi ha già deciso tutto prima e chi invece improvvisa colori e segni sul momento.

E’ stato possibile osservare queste affascinanti differenze di  modalità di lavoro una mattina nella città di Lucca, grazie ad una “Estemporanea d’arte”.

Mi sono concentrata sui lavori di Fabrizio Barsotti e di Michaela Kasparova, artisti presenti su http://www.livinart.it – la galleria d’arte esclusivamente on line.

Ecco due piccoli fotoracconti!

Occasioni da non perdere..

Dafne

Open Studios

Nella città di Lucca, come  immagino accada in altre città d’arte, in certe giornate gli artisti aprono i loro studi, gli Atelier.

Sabato 20 giugno è stata una di quelle giornate. Un modo di avvicinare l’arte al nostro pensare quotidiano.

Entrando in uno di questi atelier troviamo un’aria diversa, sono luoghi nuovi, non sono negozi, non sono laboratori. L’artista che ci accoglie si manifesta già attraverso il suo ambiente, entriamo ed è come se già lo conoscessimo, ha il piacere e la voglia di svelarsi attraverso le sue opere e le sue cose.

E se avessimo l’occasione, l’opportunità, la fortuna di poterci portare a casa un’opera,  quell’atmosfera rimarrà  lì, attorno a quell’opera ovunque la porteremo.

Alcuni artisti presenti su Livin’Art partecipano al Progetto Open Studios (un sabato al mese da maggio a dicembre)

infatti è stato possibile  vedere gli acquerelli di Fabrizio Barsotti direttamente nel suo atelier della caratteristica Via del Fosso

 

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e le  sculture di Andrea Bucci nella Via San Andrea a ridosso della famosa Torre Guinigi

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e ancora le  fotografie di Alessandro Giuliani nel contesto dello storico Mercato del Carmine

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Ciascuna di queste strade e ciascuno di questi luoghi meriterebbe un racconto a sè, che non tarderà ad arrivare

 

Dafne

L’attesa di una nascita

Mesi di silenzio per far nascere una creatura.

Si tratta di Livin’art http://www.livinart.it

Si tratta di un gruppo di artisti che con passione vogliono vivere con il loro lavoro e che, insieme, si propongono in questa galleria virtuale.

Livin’art è il tentativo di far conoscere questi artisti, i loro lavori e di far pensare che l’arte possa essere accessibile ed entrare nel nostro quotidiano così come accade per tanti oggetti tecnologici.

Un’avventura appena iniziata, con entusiasmo ed aspettative.

 

Dafne

 

 

Roma, Palazzo delle Esposizioni: nessuna novità

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Il palazzo è bellissimo, gli spazi enormi come sono quelli della città, Roma.

Due eventi: “Empire State – Arte a New York oggi” e “Helmut Newton. White women / Sleepless Nights / Big Nudes”

Al piano terra i 24 artisti newyorchesi contemporanei, che per nascita e residenza, dovrebbero esprimere l’arte di oggi. Anticipandola.

Al piano superiore le 200 immagini scattate dal fotografo di moda.

La visita al piano terra è certamente molto gradevole. Gli allestimenti molto interessanti, a volte spettacolari, per le imponenti dimensioni delle opere. Le biografie degli artisti e le delucidazioni scritte che accompagnano sempre le opere aiutano a decifrare i significati, ma soprattutto la genesi delle opere.

Ho avuto l’impressione di assistere, in alcuni casi, a sperimentazioni materiche: le tele ottenute da una sapiente colatura di colori protatta nel tempo (Ryan Sullivan), od opere ottenute inserendo in una stampante lino grezzo (Wade Guyton, dice di sè : ‘Faccio quadri, ma non penso a me come a un pittore’).

In questi casi ciò che si recepisce è il gesto, il cui risultato non porta bellezza, e non manifesta maestria come forse richiderebbe ciò che chiamiamo Arte.

Troviamo, fra i tanti altri, anche Jeff Koons con le sue Veneri in acciaio inossidabile lucidato a specchio e le sue grandi tele intitolate Antiquity che in qualche modo dissacrano l’antichità greca.

Questi sono solo alcuni esempi.

L’evento newyorchese è molto interessante, per gli interrogativi che pone sull’idea di Arte. Forse io, contemporanea, non riesco a cogliere il significato profondo di certe opere, o forse stiamo vivendo un’epoca di assenza di arte che rende difficile distinguere l’ Artista dai numerosi artisti attivi e che realizzano certamente belle cose.

Al piano secondo le circa duecento foto di Helmut Newton mi hanno parlato di un fotografo di moda degli anni ’80, che non emoziona.  Ad esclusione di due o tre foto, non di moda, che sono riuscite poetiche: un salice piangente in una notte ventosa, l’immagine di una “madonnina” a Poggibonsi, ed un nudo a Berlino, più vero degli altri.

Comunque, nel complesso, niente di nuovo.

Dafne

Arte Accessibile a Roma

La curiosità mi ha spinto a visitare la prima Affordable Art Fair a Roma (a Milano si sono svolte già due edizioni). La caratteristica di questa fiera è che il prezzo massimo delle opere esposte non supera i 5000 euro, e su ogni opera è mostrato chiaramente il prezzo.

Ci si muove fra gli stend, frastornati dalla quantità di opere che ci circondano. Ogni galleria presente, propone tre-cinque artisti ed ogni galleria è diversa per stile e tipo di allestimento. E’ un suk dell’arte, multiforme e variopinto. E’ caotico, ma non ci si sta male; nella moltitudine delle opere proposte lo sguardo viene maggiormente attratto da quelle che hanno una loro sicura originalità, inconsciamente si opera una selezione veloce: alcune opere chiamano, attraggono, altre scorrono lontane.

E’ stato interessante, formativo. Si tratta di arte contemporanea, accessibile non solo per il prezzo, ma anche per i contenuti godibili e spesso innovativi.

Uno spaccato del  senso estetico contemporaneo, proposto semplicemente, senza pretese. Ho sentito, qui, l’espressione artistica e creativa come  una lingua universale, ho sentito il passaggio comunicativo fra chi crea e chi fruisce in modo lineare, veloce, senza apparati strutturali e formali. Come dire: è così che noi aristi, autori, creativi, ci esprimiamo in questa epoca, in questi giorni, e così vogliamo dirverloe condividerlo, e se vi piacciamo comprateci.

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Mi è piaciuta l’idea di desacralizzare la diffusione dell’arte contemporanea, non relegandola alle gallerie, rendendone meno formale l’approccio, meno impegnativa la possibilità di un acquisto.

Dafne

Lo statunitense ed il sudamericano (David la Chapelle e Luis Sepulveda)

Nello stesso giorno ho visitato una mostra fotografica di David La Chapelle e ho letto l’intervento di Sepulveda su Repubblica dal titolo “Ora basta show letterari, racconto la strada”. Questa casualità ha avuto il suo peso nel chiarirmi i pensieri.

David La Chapelle: foto enormi, colori forti e contrastanti, contenuti surreali. Immagini oniriche, bizzarre, fino ad arrivare al kitch. Si parla di L.C. come del fotografo della contemporaneità.

Non riesco a trovarlo interessante, perchè se si occupa della contemporaneità lo fa esasperando quello che già sappiamo di essa senza entrare  nelle sue pieghe; viene definito provocatorio ma non lo trovo tale poichè utilizza gli stessi strumenti di ciò che vuole criticare, rimanendo impigliato nella logica di ciò che vuole reinterpretare; se ne dovrebbe discostare, cambiare inquadratura, punto di vista, angolazione; addirittura viene definito sensuale, ma  non ho trovato nessuno dei corpi, da lui fotografati, sensuale poichè le sue immagini non suscitano quella sensazione inesprimibile di ricerca di un altrove ma solo un incauto e irriflessivo mettere in mostra, chiassoso e niente affatto poetico. E’ riuscito in una messa in scena parossistica della società, quando invece ritiene di farne una critica, critica impossibile dato che ne utilizza tutti gli stilemi andando a creare una sorta di circo da spot televisivo, forzatamente eclatante. In sostanza ho avuto l’impressione finale di assistere ad un grandequivoco che mi si è fatto chiaro quando ho nettamente percepito tutta l’inutilità di un enorme ritratto di Naomi Campbell nuda. Una inutilità che rasenta l’ingiustizia, a dimostrazione di quanto l’etica e l’estetica siano  interconnesse e quanto entri in gioco, nel campo delle manifestazioni artistiche, il tema del senso di responsabilità. L’equivoco è quello del confondere la periferia con il centro.

Della mostra di La Chapelle ho apprezzato le fotografie delle composizioni floreali, che rimandano al classicismo. Vasi di fiori per lo più appassiti, eccentricamente combinati, con l’aggiunta di elementi della nostra quotidianità, di oggetti quindi, ma oggetti che per qualche motivo sembrano morti, usati e buttati, offesi. In queste foto ho avvertito l’espressione di un disagio, il voler manifestare un pensiero interiore difficile, che attraverso queste composizioni contrastanti, arriva a toccare le corde dell’osservatore contemporaneo in maniera sotterranea e non plateale come nel resto del suo lavoro. Per questo, a mio parere, L.C. è riuscito ad esprimere autenticamente qualche aspetto della sua interiorità solo attraverso le nature morte, che considero gli unici lavori artistici visti in questa mostra.

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E’ stata la lettura dell’intervento di Sepulveda a farmi capire meglio, per contrasto, le sensazioni ambigue lasciatemi dalla vista delle immagini di La Chapelle ed a farmi comprendere totalmente il significato del ruolo dell’arte e dell’immagine nella società, fra gli uomini. Non solo, si è imposta alla mente anche una frase di D’annunzio (ricordatami recentemente da questo post “La vita è un dono, dei pochi ai molti, di coloro che sanno e che hanno a coloro che non sanno e che non hanno” a monito e testimonianza della necessità della presa di coscienza del valore e del ruolo dell’artista e della sua vita nel mondo.

Sepulveda ci fa scendere col pensiero per strada, allontanandoci dai salotti e dalle parole prive di senso, per avvicinarci ai marciapiedi

ogni giorno che passa mi piacciono di più la vita, la strada, i fatti sociali, perchè trovo che là le parole assolvano ancora una funzione necessaria […] il valore che do alle parole mi ha insegnato che hanno un profondo senso della vergogna e soffrono se usate male

Eccolo il nocciolo della questione, ecco cosa può provocare La Chapelle con le sue immagini: sofferenza, a causa di un mal utilizzo di un mezzo espressivo, forse di mancanza di responsabilità e di coscienza della propria azione.

Senza dimenticare che La Chapelle è considerato un fotografo che fa dell’ironia la sua cifra stilistica, e su questo tema rimando ad un altro interessante post.

Dafne

Tzvetan Todorov ed il posto della bellezza

Sembra che nella confusione dei nostri giorni sia difficile scorgere un sicuro concetto di bellezza se vogliamo riferirlo all’arte contemporanea. Sembra che dovremmo arrivare a dire che arte contemporanea è anche un gesto, uno scambio di sguardi o tutto ciò che ci produce emozione. E’ certamente impresa ardua voler fare chiarezza dentro di noi su un concetto già tanto dibattuto e mutevole nei tempi come quello della bellezza, ma è interessante in questo modo ricordarne la natura impalpabile, come un qualcosa che, in assoluto, possiamo giusto intuire, ma non descrivere o spiegare.

Il tentativo di riflessione mi nasce dalla lettura di un intervento di Franco Marcoaldi su R2Cultura di giovedì 21 giugno 2012: è uno sforzo mentale quello a cui ci sottopone Marcoaldi con la sua intervista a Tzvetan Todorov, ma lo fa, lo fanno entrambe, con semplicità, come se stessero parlando dei più ameni argomenti, una domanda dopo l’altra in un cortiletto deserto e silenzioso alle spalle di un bar di Parigi.

Todorov spiega  come l’uomo contemporaneo sia lontano dalla bellezza intesa come ricerca del contatto col trascendente, come accadeva prima della modernità quando l’arte veniva vissuta dall’uomo come un tramite, attraverso l’esperienza estetica, per giungere al Bene Assoluto, e forse a Dio. Certo, in passato questo tipo di ricerca era riservata a chi non aveva problemi materiali o contingenti, ma adesso che tutti abbiamo il tempo da dedicare al nostro spirito, o quantomeno alla parte astratta di noi, ecco che l’arte non rimane relegata in luoghi fisici o piccole porzioni di società. Adesso tutti abbiamo diritto al nostro piccolo spazio metafisico, filosofico. Ma cosa sarà successo? Forse la cosìdetta Arte ha dovuto abbassarsi al mio, nostro livello di percezione, per raggiungerci? L’Arte ci capita davanti tutti i giorni? E’ quella l’ Arte?

Ecco la riflessione di Todorov:

Mentre lungo tutta la modernità bellezza e arte sono andate a braccetto, nel postmoderno lo scenario cambia radicalmente. Non si parla neppure più di arte: si preferisce usare termini come performance, gesto, azione. Naturalmente non è da escludere che si sia finiti su un binario morto e che presto o tardi si imboccherà tutt’altra strada”

Capiamo che questi dubbi non possiamo scioglierli noi che stiamo vivendo e fruendo di queste nuove forme artistiche e che è già un buon vivere essere consapevoli di star navigando a vista in questo mare senza la pretesa di giudizi o analisi definitive. Fra i vari concetti che esprime Todorov quello che più mi affascina è l’idea di “cura del mondo” come manifestazione del legame esistente fra estetica ed etica.

Todorov afferma che quando un artigiano, così come un artista, prova un’ emozione estetica nell’azione che compie questa, oltre che un valore estetico ha anche un valore etico, proprio perchè in questo gesto, in questa azione “c’è un segno di rispetto per il mondo, che riveste una valenza morale”. E che l’arte contemporanea non è più, o non è solo “vedere” e “pensare”, ma “sentire”, e Todorov considera che la sensazione e l’emozione siano già validi indicatori di bellezza.

“..può anche essere che la bellezza si sia rifugiata in altre attivtà, prive di riconoscimento. Come ci insegna il pensiero orientale la possiamo trovare anche nei gesti minimi della quotidianità:curare un giardino, comporre un mazzo di fiori, impacchettre con cura un oggetto possono produrre emozioni estetiche altrettanto intense. Questo per dire che se l’arte è soggetta a mutamenti storici, purtuttavia, sempre e comunque, ciascuno di noi può sollevare gli occhi al cielo ed essere scosso dalla bellezza. Perchè è un sentimento intrinseco alla natura umana.”

Allora sembra che Todorov dica che tutti noi siamo capaci di capire l’arte e coglierne la bellezza dato che tutti siamo capaci di “sentire” e nel dire questo ho l’impressione che il nostro indiscusso intellettuale ci consideri, teneramente, dei bambini da prendere per mano e condurre verso nuovi modi di percepire sia l’arte che la bellezza.

Dafne

Nuovi modi di fare arte: la “Galerie le mur blue”

Nuovi modi di fare e proporre arte nelle nostre città. Intendendo per arte il voler esprimere la propria individualità e la personale lettura del mondo che ci circonda comunicandolo agli altri con mezzi e modi del tutto originali e spontanei, scevri da qualsiasi regola o forma con cui siamo abituati a veder proposta l’arte.

Potrebbe trattarsi di un  nuovo fenomeno artistico che riesce ad infrangere la resistenza – dettata dai rassicuranti codici tradizionali – verso più attuali forme di comunicazione nel campo dell’arte, maggiormente coerenti con i tempi che viviamo, e che agiscono in modo diretto nei luoghi di vita vissuta.

Qui non interessano le quotazioni o i vernissage, non interessa sapere chi è l’autore, dove vive, quando è nato. Chi espone alla “Galerie le mur blue” vuole comunicare, esprimere la propria esperienza, far porre domande a chi riesce a soffermarsi a guardare. Sì, perchè questa nuova modalità di esposizione ci coglie così impreparati che passando davanti alla “galleria”, costituita da una vecchia staccionata azzurra, si rischia di vedere e non guardare.

Ma la posizione è strategica: siamo in una piazza del centro di una città di medie dimensioni, per cui gli abitanti – presumibilmente – passerranno più e più volte da lì, e prima o poi oltre che vedere guarderanno anche, perchè questa installazione è in continua progressione, si allarga quasi quotidianamente.

Vi troviamo opere di varia natura: qualcuno provoca la nostra riflessione con suggerimenti tipo poesie, citazioni e moniti di un vissuto quotidiano quali tazzine di caffè o liste della spesa.

C’è chi ci parla di un suo vissuto attraverso un susseguirsi, che diventa sovrapposizione, di immagini fotografiche dalle forti e molteplici suggestioni che danno luogo ad un effetto caleidoscopico, dove non sono le forme che cambiano attraverso i movimenti, ma è il pensiero di chi guarda che viene indotto ad un movimento interno per le svariate composizioni mentali che si possono creare in ciascun passante/osservatore. Ecco quindi che la ricerca e l’espressione personale diventano efficaci nel risvegliare l’attenzione e nel condurre ad una osservazione riflessiva che può diventare introspezione.

C’è chi ci induce  a soffermarci sul posto, in osservazione, per l’effetto ipnotico della ripetizione di una immagine che non si manifesta subito chiaramente, richiedendo una sosta più attenta.

Il valore aggiunto e insito in questa installazione, deriva dalla semplicità sia dei materiali utilizzati che delle azioni necessarie a realizzarla, oltre che dalla familiarità del luogo dove si trova.

Semplicemente sorprendente.

Dafne