Month: febbraio 2013

Se “La bicicletta verde” è in Arabia Saudita

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Viene da lontano questo primo film della regista Haifaa Al-Mansour . Un lontano non solo fisico ma anche mentale, che riguarda il come si intende coinvolgere lo spettatore.

In “La bicicletta verde” la regista è riuscita a farci entrare, con discrezione, nella vita chiusa, prevedibile e rassegnata di un gruppo di ragazze dell’ Arabia Saudita. Ci conduce nelle loro giornate contando sulla disponibilità e pazienza dello spettatore, senza accelerare i tempi, senza paura di annoiare.

Il film è pulito, lineare, nessuna divagazione rispetto alla storia da raccontare. Si arriva direttamente al punto focale: la bicicletta verde è la metafora della libertà mentale di ciascun individuo, quel tipo di libertà che coincide con la giustizia.

Si esce dal cinema ed è chiaro che abbiamo visto la rappresentazione cinematografica di un messaggio vitale che proviene da un  mondo non occidentalizzato.

Vi è qualcosa di ingenuo e di primario in questo film, è privo degli orpelli troppo concettuali a cui siamo abituati, non ci sono letture diverse, o spiegazioni da trovare fra la righe.

Semplicemente rappresenta ciò che è: i luoghi, le situazioni, le persone. Gli attori sono bravissimi e la semplicità delle immagini che vediamo scorrere, sconfina in una ricercatezza rara.

Da non perdere.

Dafne

Quando il film è una capolavoro il regista è un artista

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E’ questo che mi colpisce e stupisce nei film di Fassbinder: sembra raccontarti una vicenda specifica, particolare, così inusuale da apparire paradossale, lontana dal nostro vivere e pensare quotidiano, interessante ma distante fino a quando, terminato il film, ti accorgi che, indiscutibilmente, ha invece trattato temi universali, ha toccato corde che risuonano  dentro di te, che tu sia scaltro e disincatato oppure inesperto o sprevveduto sia di vita che di film.

Non riesco a capire bene il perchè di questo, potrebbe essere proprio il suo riuscire ad estremizzare le situazioni, metterle sotto la lente di ingrandimento, o la capacità di alludere ad una profonda emozione descrivendone un’altra, operando una sorta di illusione, un gioco di specchi che tramite continui rimandi ti avvicina a profondità altrimenti indicibili in modo diretto, esplicito.

E’ quello che accade alla visione del film Martha. La storia di un matrimonio diventa occasione di riflessione sulla qualità e sulle sfumature di ogni tipo di relazione, e ci fa chiaramente percepire quanto siano labili i confini fra la volontà e la sottomissione, quanto il punto di vista possa influenzare l’intera percezione di un’esistenza, quanto, a volte, possa essere equivoca la l’idea sia di noi stessi che delle altre persone. Come dire…tutto è relativo, nel modo più perverso e pauroso, e possiamo anche non accorgercene.

Lo stesso vale per Il matrimonio di Maria Braun: attraverso questa storia Fassbinder vuole chiarire,  analizzare, raccontare le molteplici possibilità di  interpretazione di gesti o vicende. Di nuovo, secondo me, entra in campo il punto di vista, lo sguardo, la flessibilità dei nostri ragionamenti. Parla di altro, ma ci descrive i nostri meccanismi più ombrosi e profondi.

E’ la dote dell’artista/regista, è la sua urgenza, la sua necessità di dare la sua spiegazione dell’animo umano e del mondo; e questo trova conferma nelle parole dell’attrice Jeanne Moreau

[…] a volte si creava una specie di intimità, eppure ci siamo toccati solo l’ultimo giorno di riprese. In lui vedevo il fanciullo, non mi riesce spiegarlo, era una specie d’amore… Abbiamo girato il film in quattro settimane e mezzo, delle giornate di lavoro insensate, quattordici quindici ore, in un’atmosfera surriscaldata, trascinati dalla sua energia. Aveva una fretta pazzesca. Conosceva la sceneggiatura alla perfezione, ma con quella libertà che implica una conoscenza veramente approfondita. Il modo in cui piazzava la cinepresa, in cui regolava i movimenti, dava i tagli, creava improvvisamente la vita. Era una meraviglia, non lasciava mai il set, era affascinante vederlo al lavoro. Era tutto molto veloce. Di solito quando si cambiano l’asse o l’obiettivo si perde tempo. Là era tutto immediato, c’era una velocità! Non ho mai visto girare con quell’urgenza! […]

E’ la fretta pazzesca, l’urgenza del girare che dimostrano il sentir premere qualcosa dal dentro, il bisogno espressivo tipico dell’artista; questo è ciò che rende possibile scorgere in un film un capolavoro che sopravvive al passare del tempo.

Da qui la riflessione mi conduce al tema dell’arte, al fatto che la sentiamo agire su di noi quando porta alla luce pensieri od emozioni fino ad allora solo appena avvertiti. Anche guardando  un film.

Dafne